PERCORSI IN MOSTRA
a cura di Massimo Palazzi
Il viaggio
Il percorso creativo di un artista può essere descritto come un viaggio solitario, un'incessante
ricerca di luoghi immaginari che implica continui abbandoni, ma anche possibili ritorni. Similmente
si sposta il visitatore alla scoperta di una mostra. In entrambi i casi, come anche in quello
dell'artista che per lavorare decide di lasciare il suo paese d'origine, non è la meta ad essere
importante, ma il percorso compiuto nel tentativo di raggiungerla.
L'ambiente in cui viaggia l'artista cubano C. Garaicoa è la metropoli che, tra utopia e realtà,
diventa materiale primario del suo lavoro. Nelle foto della serie Il disegno, la scrittura, l'astrazione,
la tessitura delle scritte che si sovrappongono sui muri rende visibili le stratificazioni temporali della
vecchia Avana. Dalle immagini affiorano pensieri, spazi e luoghi dimenticati, mentre l'esperienza
personale dell'individuo si specchia nella testimonianza concreta delle scelte politiche, culturali e
sociali che hanno dato forma alla città.
Nell'installazione di A. Kiefer, la visione di un mare grigio, opaco e denso fronteggia il visitatore
come un muro ed evoca un attraversamento difficile e tormentato. Al viaggio non si addice il peso
delle lamiere di piombo con cui sono stati realizzati la nave da guerra e i massi collocati sotto la
tela. Lavori come questo fanno pensare che la realizzazione dell'opera d'arte consenta all'artista di
rendere reale il carico che porta su di sè e di sgravarsene, lasciandolo affondare come il relitto di
un naufragio. Nel caso di quest'opera il titolo, Sul fondo della Moldava, evoca il messaggio
antimilitarista di una canzone scritta da B.Brecht negli anni del Nazismo.
Originaria di Sarajevo, D. Dakic lavora sulla costruzione dell'identità personale e dell'idea di
dimora in conseguenza di drammatici cambiamenti sociali, anche in riferimento alla sua esperienza
di emigrata. Il viaggio è la condizione esistenziale dei profughi Rom che hanno posato per lei di
fronte a una gigantografia del dipinto La Grande Galerie in cui il pittore francesce Hubert Robert
(1733-1808) aveva immaginato il Louvre in rovina. Le foto creano un luogo senza tempo dove
illusione e realtà si scontrano in un contrasto di esistenza e cultura che evidenzia la dignità umana
delle persone ritratte.
Molto difficile se non adirittura rovinoso è anche il viaggio cui allude G. Friedman nella sua
installazione Esodo dove una serie di figure ridotte a manichini si dirige verso una specie di imbuto
come fossero forzati a perseguire una meta per raggiungere la quale dovranno subire una
inevitabile trasformazione.
Il mito greco di Sisifo, condannato a spingere un masso in cima a un pendio per poi vederlo cadere
a valle e ricominciare la sua inutile fatica per l'eternità, è stato rivisitato dalla delicata scultura di M.
Loizidou. La leggerezza della carta e della seta si sovrappongono al dramma della ripetizione
forzata di un'azione inutile per raccontarci come l'opera d'arte possa riscattare con la sua eleganza
lo sforzo del vano percorso da cui scaturisce.
Come le opere di D. Dakic e di G. Friedman, anche il lavoro dell'artista camerunense B. Toguo
propone il viaggio come fuga da una situazione non più sostenibile in nome della speranza nella
possibilità di migliorare la propria condizione esistenziale. Il simbolo della strada dell'esodo è una
barca sovraccarica di bagagli in cui al simbolo si sovrappone l'attualità dei grandi flussi migratori.
Il termine coreano bottari indica un fagotto di stoffe e beni famigliari essenziali imballati per essere
trasportati. K. Sooja fa convivere in esso l'idea di migrazione e quella di un'intimità domestica
viaggiante, pronta per essere ricostruita con successo altrove. Nel video in mostra una telecamera
si limita a seguire l'artista a distanza costante, mentre attraversa le strade di Parigi seduta su un
carico di bagagli. A un certo punto, il nomadismo silenzioso e ipnotico delle immagini, sembra
invertire la relazione tra viaggiatore e paesaggio attraversato. La sagoma dell'artista appare
immobile ed è la città che sfila davanti a lei spostando l'attenzione dello spettatore dall'esterno
della visione allo scorrimento interiore del flusso dei pensieri.
Gli insetti hanno spesso un ruolo determinante nelle opere visionarie del belga J. Fabre, nipote
dell'entomologo Jean-Henry Fabre. Il problema inscena l'assurdo incontro dell'artista con i filosofi
Dietmar Kamper e Peter Sloterdijk in un campo in Germania. Come i misteriosi personaggi dipinti
dal connazionale surrealista René Magritte, i tre indossano il frac e spingono delle grandi palle
quasi fossero scarabei stercorari. Mentre i due filosofi sono impegnati in disquisizioni senza fine
come l'attività di Sisifo, l'artista gioca con la sua palla, inseguendola e cercando di sfuggirle. Al
calar della notte le palle restano, emblemi di un problema che non svanisce, anzi si moltiplica
nell'immagine di un'altra sfera che sale in cielo in forma di luna piena. Secondo Fabre, come
Atlante non può liberarsi del globo che regge, così l'artista non può abbandonare la palla di sterco
che spinge davanti a se.
Visioni
Il viaggio non è solo lo spostamento fisico di un individuo nello spazio. La scoperta inaspettata di
luoghi mai visti prima e l'attraversamento di territori inesplorati può anche essere il risultato di un
percorso introspettivo che conduce ogni viaggiatore, artista o visitatore a una più profonda
conoscenza di se stesso. L'opera d'arte è allora ciò che resta per fornire la testimonianza tangibile di
questi momenti di isolamento e introspezione.
Le incisioni di L. Bourgeois costituiscono una sorta di diario interiore compilato dall'artista nel corso
di oltre quarant'anni di attività. Nella loro semplicità grafica e nell'intimità del piccolo formato,
registrano quell'immaginario di visioni, sogni e incubi da cui ha origine la straordinaria produzione
plastica della scultrice, suggerendo un viaggio nel tempo e descrivendo la formazione della sua
personalità.
Agli occhi del visitatore, il contrasto tra la materia povera e opaca del cartone ondulato e l'istintivo
stupore che si prova scoprendo la superficie specchiante all'interno del Grande Pozzo di M.
Pistoletto assume il carattere di una piccola rivelazione. Ancora una volta, è il viaggio che consente
la scoperta: solo avvicinandosi al cilindro e sporgendosi per guardare al suo interno si può trovare
l'immagine di se e provare un sollievo analogo a quello dato dall'acqua nel deserto.
Dai primi anni Settanta la coppia di artisti inglesi Gilbert & George si espone come scultura vivente
per indagare la relazione tra arte e quotidianità, vita privata e immagine pubblica. Avvalendosi della
ripetizione seriale e dei forti contrasti dell'immaginario popolare e pubblicitario i due creano messaggi
visivi che proclamano l'esistenza di momenti fermati e schiacciati dietro il vetro come insetti. L'opera
in mostra è dedicata a 15 ritrovi del quartiere di Londra dove la coppia abita, l'East End (codice
postale E1), recentemente diventato residenza di molti altri artisti.
Soprammobili, figurine, giocattoli e attrezzi di vario genere sono stati combinati da H. P. Feldmann in
una ipnotica e traballante fantasmagoria. Sottraendo agli oggetti la loro connotazione abituale, legata
al colore, alla funzione e al vissuto ad essi legato, l'artista crea un teatro d'ombre che invita a
guardare al di là dell'esperienza quotidiana, lasciando che la fantasia del visitatore si proietti nella
semioscurità dell'installazione.
Il ritmo delle onde che bagnanono il corpo dell'artista montenegrina M. Abramovic, sdraiata sulla
spiaggia di Stromboli, riconduce l'artista alla sua origine in una regressione beatamente ossessiva. Il
video in bianco e nero si limita a documentare un'esperienza sensoriale soggettiva, trasfigurandola
nella bellezza quasi classica delle immagini che ne suggeriscono il valore universale.
I dipinti astratti di N. Nakanishi offrono la visione di paesaggi indefiniti suggeriti appena dal contrasto
tra forme organiche chiare e nere che animano la tela. In esse il confine tra visione ottica e visione
interiorie si confonde, un po' come quando ci si abbandona a contemplare gli ectoplasmi generati
sfregando le dita sulle palpebre abbassate.
Analogamente all'opera di M. Pistoletto, anche la scritta fatta realizzare da M. Nanucci si manifesta
al visitatore con il carattere di una rivelazione. La coincidenza di messaggio, visione e significato
attua una specie di corto circuito percettivo nel visitatore, materializzando nel tubo al neon un attimo
di piena consapevolezza.
Lo specchio, la maschera, la macchina fotografica, sono gli strumenti che hanno consentito al
fotografo giapponese M. Tsukada di intraprendere un percorso introspettivo incentrato sull'immagine
e l'identità. In una perfetta coincidenza di ruoli tra il fotografo e il suo strumento, una maschera è
stata posta davanti all'obiettivo rivolto verso uno specchio. Le fotografie così realizzate mostrano il
riflesso della maschera visto attraverso gli occhi della maschera stessa, che appare sfocata in un
ambiente buio come all'insondabile interiorità dell'individuo.
Luoghi esotici
L'evocazione dei luoghi fantastici scoperti dall'artista nel corso del suo viaggio verso una meta ignota
e irrangiungibile - l'isola mai trovata - è una delle premesse fondamentali alla realizzazione di questa
mostra. Sono le singole opere, che a loro volta diventano isole nel mare del percorso espositivo, i
luoghi esotici che il visitatore è invitato a esplorare con curiosità e spirito d'avventura.
Spostando le rocce dal loro contesto originario e ricomponendole secondo schemi geometrici seriali
sul pavimento dello spazio espositivo, R. Long crea un'interazione tra luoghi diversi che offre al
visitatore un nuovo paesaggio in cui la bellezza del dato naturale è esaltata dall'artificialità della sua
collocazione.
La ricchissima fantasia metamorfica di L. Ontani trova il suo medium espressivo ideale nella
ceramica. La facilità con cui può essere modellata e decorata, assumere la riflettenza dell'oro e
dell'argento, consente all'artista di realizzare le sue visioni surreali in cui miti e leggende si
sovrappongono all'immaginario popolare nei colori sgargianti di una tecnica tradizionalmente italiana
quale la maiolica.
Oltre 200 oggetti di vetro trasparente formano la struttura apparentemente precaria creata da T.
Cragg impilando bicchieri, bottiglie, lastre e supporti in vetro cemento. Si tratta solo di un esempio
della straordinaria creatività dello scultore inglese, tappa del viaggio da lui condotto tra le forme e la
materia per creare oggetti ed evocare paesaggi in grado di sottolineare il nostro rapporto tattile,
fisico, cromatico e sensuale con il mondo.
L'elemento esotico, definibile come “altro” rispetto alla contingenza della nostra contemporaneità
geografica e storica, è il tema del lavoro di Orlan esposto in mostra. L'artista francese che,
sottoponendosi a molteplici interventi di chirurgia plastica, usa proprio il corpo come mezzo
espressivo, crea qui una galleria di ritratti di nativi americani da lei incarnati solo in effige grazie
all'ibridazione di tecniche pittoriche e fotografiche.
L'artista americano di origine greca L. Samaras orchestra materiali, casualità e movimenti disparati
in un'esplorazione libera e giocosa del mondo che lo circonda. Nel filmato intitolato a sè stesso,
un'ampia varietà di cose e azioni, privati della loro normale funzione utilitaristica, si avvicendano
creando un'intrigante e soggettiva costruzione formale basata sulla molteplicità delle sue
componenti.
L'artista marocchina L. Echakhch esamina le problematiche legate all'incontro di diverse identità
culturali conseguente al processo di globalizzazione dei sistemi economici. Nell'opera Principio
d'economia espone articoli d'uso quotidiano che avulsi dalla loro funzione evidenziano alcune
caratteristiche sociali del loro originario contesto di appartenenza. All'interno della mostra, i volumi
delle forme in cui viene venduto lo zucchero in Marocco si ergono sul pavimento per essere
paragonati ai cubetti di zucchero usati in occidente, dispositi dall'artista disordinatamente a terra
nell'opera Principio d'economia 2 (2005).
La falsità dell'immaginario esotico codificato dalle agenzie viaggio occidentali coincide con la
costruzione del paesaggio ostentatamente artificiale proposto dall'opera di S. Hapaska. La sue
palme realizzate in materiali sintetici colorati sono l'emblema di un'isola stereotipata, un altrove
vacanziero banale quanto inverosimile.
I disegni di D. Oppenheim documentano la fase progettuale che precede la realizzazione di grandi
installazioni dall'aspetto surreale. Sono fantastiche macchine inutili realizzate dall'artista per
compiere imprese tanto impossibili quanto l'arduo tentativo di sradicare il male.
Il mare
L'idea del viaggio e la presenza di nuove terre da scoprire rimandano immediatamente al mare,
elemento unificante, immagine della fluidità del tempo e dello spazio che connette le terre emerse.
Non è un caso allora se il mare ricorre tra i soggetti delle opere esposte ed è per questo che,
secondo gli intenti dei curatori, il visitatore può pensare al suo percorso in mostra come a una
navigazione nello spazio su cui si affacciano come isole le opere degli artisti rappresentati.
L'assemblaggio proposto dall'artista greco J. Kounellis è parte di una straodinaria mostra viaggiante
allestita a bordo del cargo Ionion nel 1994. Il mare rappresenta per l'artista un'immagine di libertà
che coincide con un mitico luogo originario. L'albatros, costruito con pesanti materiali di recupero
sospesi alla parete, evidenzia con la sua statica presenza materiale la libertà dell'uccello considerato
compagno dei naviganti, alludendo all'analoga condizione di pesci, volatili e natanti.
Il continuo, inarrestabile, alternarsi di luce e ombra è il soggetto di una serie di scatti in bianco e nero
attraverso i quali Y. Bresson contempla il fluire della luce e si compiace della momentanea
possibilità di registrarne il passaggio perchè, come scrisse J. W. Goethe, “La chiarezza è un'equa
ripartizione di ombre e luci”.
Il dispositivo allestito da R. Horn per l'opera intitolata Oceano nel mio cuore evoca la visione del
mare come esperienza interiore. Il lento e libero scivolare dei riflessi luminosi sulle pareti della stanza
semioscurata suggerisce infatti una piacevole profondità interiore che, come nel caso del video di M.
Abramovic, invita a una rilassante contemplazione.
Il lavoro realizzato da A. Aycock convoglia elementi naturali fluidi come l'aria e la sabbia nella
costruzione di una forma che si manifesta nello spazio espositivo, dotata di una sua temporanea
solidità. La compresenza di staticità strutturale e tensione dinamica dei materiali che la costituiscono,
rende quest'opera particolarmente emblematica rispetto al carattere di una ricerca artistica che non
si sofferma sui risultati che consegue, sempre pronta a inseguire il miraggio di un'isola che non c'è.
Nelle foto di M. Bolla, i monti e il mare appaiono come miraggi di luminosa purezza evidenziati dal
peso visivo dei primi piani materici e scuri che contribuiscono a proiettare lo sguardo nella distanza
dell'immagine.
L'espediente compositivo e concettuale adottato da I. Kabakov per il suo dipinto connota la
campitura azzurra astratta come una liberatoria immagine di leggerezza ideale. I rettangoli bianchi
che la incorniciano associano ai nomi propri le parole russe che indicano il cielo, il mare, l'acqua
fresca e l'aria, scritte in un anacronistico corsivo. Le forme dell'avanguardia assumono così un
carattere intimista che paradossalmente si rivolge al passato.
Come l'albatros costruito da J. Kounellis, l'opera di C. Tsoclis gioca sulla tensione tra libertà del
movimento vitale e prigionia della forma che caratterizza ogni ricerca artistica. Il fluire dell'acqua che
si identifica con il soggetto della ripresa video è per sempre arrestato nell'immagine del pesce
agonizzante, trafitto dall'arpione che ne consente l'esistenza come opera d'arte nella fisicità dello
spazio espositivo.
Apparentemente il mare non sembra avere nulla a che fare con il video di S. Tsivopulos. Tre uomini
si aggirano in una terra desolata cercando di capire dove si trovano, come si fossero perduti e non
riuscissero a orientarsi. Improvvisamente poi, il campo lungo della ripresa, rivela che la terra è in
realtà un'isola dove il mare offre una potenziale via di fuga e al tempo stesso la preclude.>
Isole mai trovate | Islands never found - Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura - 13 marzo / 13 giugno 2010