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la mostra

Focus On N.8, 05/03/2007

Luca Cambiaso

Con "Luca Cambiaso. Un maestro del Cinquecento europeo" - aperta al pubblico a Palazzo Ducale dal 3 marzo all’8 luglio 2007 - Genova festeggia un bel pò di cose. Innanzitutto il suo principale artista del XVI secolo, a cui mancava un omaggio da più di mezzo secolo. Poi l’arte nostrana, visto che erano dodici anni che un pennello genovese non invadeva il Ducale; infine la rinnovata collaborazione fra le principali competenze della città: Università, Comune e Soprintendenza.

Curata da Lauro Magnani, Piero Boccardo, Clario di Fabio e Franco Boggero con la collaborazione di Jonathan Bober, la mostra conta circa duecento opere fra dipinti, disegni, arazzi e sculture. Che a malapena bastano per circoscrivere la frenetica attività di Cambiaso, autore di affreschi, pale d’altare e statue, progettista di decori ed apparati, infine grandissimo disegnatore dall’incredibile produzione.
Non un artista facile, purtroppo. La posizione geograficamente provinciale, la vasta produzione ed in ultimo la dispersione nei quattro continenti delle sue opere, ha contribuito a calare un velo di confusione sulla sua personalità (peraltro complessa: il nostro vive in pieno la crisi del Rinascimento e la Controriforma).
Ecco perché uscendo dalle sale resta netta la sensazione che questa felice occasione non segni la fine bensì l’inizio di un nuovo periodo per la fortuna della pittura genovese del Cinquecento. "Se una mostra funziona non risolve problemi, ma li determina", chiosa Lauro Magnani.

Ma veniamo al dunque. L’esposizione, che può contare su uno dei migliori allestimenti che Palazzo Ducale abbia mai visto (firmato da Giovanni Tortelli e Roberto Frassoni), ha un taglio tematico che semplifica la complessità dei temi e costruisce un livello di fruizione accessibile a tutti.
Il percorso si apre simbolicamente con l’ "autoritratto di Luca Cambiaso" e con una frase di Giambattista Armenini, trattatista cinquecentesco che ricorda di averlo visto dipingere a cento all’ora con un pennello per mano. Poi si comincia subito con gli artisti che formarono l’orizzonte della sua gioventù: Perin del Vaga e Domenico Beccafumi (attivi a Palazzo del Principe), i veneti (presenti nelle collezioni private) ed i contemporanei genovesi.

Il primo impatto misura nettamente la statura di Cambiaso. è la stanza dedicata al soggetto della Vergine col Bambino, ed è struggente la tenerezza con cui raffigura il rapporto madre-figlio, soprattutto in confronto allo ieratico post-raffaellismo del pur grandissimo Perin del Vaga. E c’è anche una delle novità più importanti della mostra: una delle poche sculture attribuite a Cambiaso giunte fino a noi, recentemente scoperta.
Impressionante, per la sua sostanziale novità, la grande sala delle tavole, dove sono riuniti quasi tutti i polittici e le pale d’altare dipinti dal nostro. è la prima volta che si possono vedere accanto opere provenienti dalle chiese di mezza Liguria. Colori chiari, pennellata libera, quasi sensuale, cromie delicate: è tutto un altro Cambiaso rispetto a quello che solitamente si vede nei musei. E nell’allestimento cominciano ad apparire i disegni, con gli studi esposti accanto alle opere definitive.

A metà percorso si impone il rapporto con l’architetto Galeazzo Alessi e con Giovan Battista Castello il Bergamasco; quest’ultimo architetto, pittore, decoratore e stretto sodale del nostro. Qui si innesta un discorso che resterà centrale nell’arte cambiasesca, ovvero il tema della figura inserita nello spazio, quasi un’ossessione, all’eterna ricerca di una chiave architettonica nella resa di scorcio del corpo umano. Da qui nasce l’esigenza della sintesi cubista nei disegni, per la quale Cambiaso è celebre: e sono bellissimi - nella loro perfetta media di immediatezza e costruzione spaziale - i disegni dei suoi più celebri affreschi nei palazzi genovesi (l’invito è di sparpagliarsi per la città e vederli di persona - un assaggio è proiettato con diapositive).

Dopo la sala dedicata ai dipinti profani della maturità - dove è scoperto il fascino per Tiziano e Veronese - ecco altre tre preziose stanzette tematiche. La prima sui famosi notturni (con i disegni cubisti, il più celebre marchio di fabbrica del nostro), la seconda - emozionante - sul tema dell’Ecce homo, dove troviamo quasi un secolo di meditazione pittorica: da Tiziano a Cambiaso, passando da Caravaggio fino ai primi secentisti genovesi. Infine la stanza della Carità, dove si evidenzia il passaggio di consegne tra il nostro ed il maggior artista genovese del secolo successivo, Bernardo Strozzi.
Nella Cappella trovano spazio le pale d’altare degli anni '70, poco prima di partire per la Spagna: sono le opere più complesse, perché il nostro spoglia la ricchezza cromatica degli inizi in ossequio ad un fare quasi concettuale, profondamente spirituale e adeguatamente rispondente ai canoni imposti dalla Controriforma.

E i disegni? Ci sono, tranquilli. Solo che bisogna spostarsi a Palazzo Rosso, dove trova spazio una selezione di oltre 50 fogli, altre tele ed opere dei suoi discepoli. Per misurare l’impatto di un artista che con questa mostra ritrova buona parte della propria grandezza.

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