La Storia in Piazza 2018
Rivoluzioni



Ora che è trascorso un secolo dall’ottobre russo e un quarto di secolo dall’epilogo della vicenda apertasi nel 1917, una considerazione si impone: è da ben più che un secolo che si replica la stessa “rivoluzione”; ciò che cambia è il lessico, conforme alle singole epoche. Ciò che rende inevitabile la replica, il rinnovarsi del tentativo, è che tutte le rivoluzioni prima o poi si snaturano o, meglio, divengono altro. I superficiali dicono “le rivoluzioni falliscono”. Lo dicono anche i dogmatici, i quali, in genere, ignorano il peso della storia. Orbene, proprio il fatto che esse, comunque, sia pure in diversa veste e con parole nuove, tornino a riproporsi, ne dimostra la necessità. La posta in gioco è, da sempre, l’uguaglianza: da Erodoto, e forse da ben prima, in poi. Quale che sia la durezza delle rivoluzioni, l’ineguaglianza risorge e, sempre daccapo, provoca repulsa e disgusto. Repulsa in alcuni; rabbiosa difesa dei propri privilegi in altri.
Non è di ieri né di ieri l’altro, bensì del 1791, la formulazione a inverare la quale il conflitto ogni volta si riaccende: “Gli uomini nascono E RESTANO uguali” (Preambolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo). Chi ben rifletta, comprende che tutto si gioca su quelle due parole “e restano”. Giacché, una volta scritte, quelle parole diventano un programma, un impegno, una parola d’ordine. E proprio mentre vengono disattese, vengono tuttavia puntigliosamente riproposte. Di modo che, quando risulta evidente che ci si è allontanati dalle premesse e dalle promesse delle rivoluzioni precedenti, ecco che sono mature le condizioni perché venga a esistenza una nuova scossa. Non è un andirivieni insensato, bensì il movimento perenne, forse destinato a non chiudersi mai, della storia umana.

Luciano Canfora



Rivoluzione. La parola e la cosa.


Rivoluzione. Una parola magica: Immensa e Rossa. Specie se pronunziata oggi, appena concluso il centenario dell’Anno dei Portenti, il 1917 dell’Ottobre appunto esso stesso Rosso. Una parola che irrompe nel Sogno, che invade l’Utopia, che forza i portali del Mito. Una parola che fa bruciare o che agghiaccia il sangue nelle vene. Rivoluzione. Una cosa immensa e onnipresente eppure ambigua. Poiché la parole non aderiscono mai perfettamente alle cose, eppure noi disponiamo solo di parole per designare le cose, uno stesso termine – dal latino revolutio, “ritorno”, “rivolgimento”, “rotazione”, “ciclo”: con valore sia geometrico sia astronomico – ha finito per indicare qualcosa di forse diametralmente opposto al suo originario significato: non già ritorno alla posizione primitiva in un tempo ciclico, bensì qualcosa di assolutamente nuovo, brusco, dirompente, sconvolgente in un tempo lineare. Eterno ritorno nel tempo-cerchio, lancio irreversibile verso il futuro nel tempo-freccia. Quante e quali rivoluzioni siamo stati capaci di allineare attraverso un uso intensivo, ossessivo, qua e là maniacale del termine? Rivoluzione agricola, rivoluzione industriale, rivoluzione scientifica, rivoluzione informatica, rivoluzione culturale… Dobbiamo guardare altresì alle rivoluzioni religiose: o meglio alle religioni (o alle riforme religiose) che hanno comportato un mutamento profondo nella considerazione della sfera del Sacro, del Numinoso, del Divino, del rapporto soggettivo dell’essere umano con la natura e con il cosmo, con quelli che egli nei millenni ha considerato i visibilia e gli invisibilia. Senza dubbio la “Rivoluzione abramitica” con la sua irruzione di Dio nella storia, e la “Rivoluzione cristiana” con il suo concetto del Vero Dio che è anche Vero Uomo, hanno distrutto il mondo fondato sul Mito e sul Sacro delle cosiddette “religioni naturali”. Ma è nel mondo delle dinamiche sociali, quindi nel mondo della politica, che la parola Rivoluzione – intesa come mutamento radicale di un assetto giuridico, o politico, o sociale – assume il suo valore più intenso. Qui la parola assume un valore “debole”, derivato dalla Politica di Aristotele (passaggio da una forma di governo a un’altra), e uno “forte” come mutamento verificatosi in tempi brevi o brevissimi (per quanto poi il “processo rivoluzionario” possa prolungarsi nel tempo e assumere perfino, almeno nelle concezioni e nelle intenzioni di alcuni dei suoi protagonisti, un carattere “permamente”): renovatio ad imis, fatto giuridicamente parlando illegittimo rispetto all’ordinamento al quale si contrappone e creatore di una nuova legittimità, quindi evento al tempo stesso estintivo d’un sistema giuridico e fondatore di uno nuovo. Il vecchio Karl Marx ha definito lapidariamente tutto ciò “passaggio dal regno della necessità al regno della libertà”. Definizione contestabile, illusoria, fallace e tutto quello che si vuole. Ma bellissima. Di quelle che fanno epoca. Che fanno da sole Storia. E dolore. La Rivoluzione divora i suoi figli; nel suo nome – come in quello della Libertà – si commettono errori ed orrori; la Rivoluzione comporta fatalmente Semirivoluzioni, Pseudorivoluzioni, Controrivoluzioni, Rivoluzioni mancate, Rivoluzioni fallite, Rivoluzioni tradite. Ambiguità, contraddizioni, malintesi; grandi speranze, grandi illusioni, grandi delusioni. Passioni, lacrime, sudore, ferocia, paura, sangue, fuoco, grida, gioia, canti, bandiere. Beati i popoli che non hanno bisogno di Rivoluzioni. Peccato che non ne esistano.

Franco Cardini