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Le carceri

Salvo la gabbia superiore tutto l’edificio era occupato dalle carceri. Nei grandi cameroni a volta i detenuti stavano in comune, spesso incatenati. Lungo i ripiani della ripida scala c’erano anche alcune segrete per condannati speciali. Le carceri della Torre, almeno fino ai primi decenni dell’Ottocento, erano destinate ad ospitare detenuti politici o persone colpevoli di crimini particolarmente efferati, nonché, nelle più comode parti superiori, esponenti della nobiltà in attesa di riscatto. I detenuti comuni venivano per lo più rinchiusi nelle carceri dell’adiacente Palazzetto Criminale (ora sede dell’Archivio di Stato) che era collegato a Palazzo Ducale da un passaggio aereo.
Da un romanzesco processo contro il custode delle carceri Giovanni Battista Noceto, reo di favoritismi illegali nei confronti di alcuni detenuti, veniamo a conoscere i curiosi nomi che venivano dati alle singole celle: Paradiso, Superbia, Examinatorio, Canto, Stanza della Cappella, Reginetta, Armi, Donne, Pregionetta, Pistolle, Diana, Colombara, Luna, Granda, Palma, Gentilomo, Gabbia, Ferrate, Sicurezza, Dianetta, Gallina, Strega, Volpe, Capitania, Ospedale, Pozzetto. Secondo alcuni esisteva anche una cella chiamata Grimaldina che avrebbe dato poi il nome corrente alla Torre.

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Il carcere detto la Grimaldina era riservato solitamente ai detenuti politici e si trovava ubicato nella parte dell’antico Palazzo del Comune, a ponente della Torre, prospettante sull'attuale via Tomaso Reggio. E’ facile immaginare quale fosse la vita lassù: il poco vitto e i disagi delle intemperie minavano in poco tempo la salute dei detenuti. Per molto tempo il mantenimento dei carcerati fu affidato alla carità pubblica. I carcerati riposavano su fetidi pagliericci, avvolgendosi in coperte sporche e spesso nell’inverno, quando la tramontana e il nevischio imperversavano attraverso le inferriate, adoperavano pagliericci e coperte per ripararsi alla meglio ammucchiandoli lungo i finestroni.